Tutto perfetto?
I limiti di questo tipo di apprendimento riguardano alcuni aspetti che spesso vengono considerati secondari, come la noia, la mancanza di empatia o di interattività con i protagonisti del video, docenti o testimonial che siano.
L’errore che si commette è quello di pensare la persona che deve accedere ai contenuti educational, il target, come un “tecnico”, un freddo professionista o uno svogliato paziente che assolve per dovere un compito controvoglia, qual è l’aggiornamento scientifico di routine o il sentirsi bacchettare su cosa si debba o non debba fare.
Ogni target, è fatto di “esseri umani”, con quel corollario di sensazioni, desideri, abitudini che caratterizzano proprio ogni essere umano: un esimio professore può essere triste o allegro, commosso o arrabbiato, interessato o disattento come ognuno di noi.
È questa “humanized vision” del target che ha dato il primo ciak al MEDICOM, il format esclusivo nato in risposta alla necessità di creare campagne di sensibilizzazione più performanti.
Una decina di anni fa, mi capitò di leggere un’indagine sociologica in cui si esaminavano le diversità nel recepire una campagna di sensibilizzazione nei vari paesi europei: per gli anglosassoni l’humor nero era il mood più efficace, il “si fa così!” lo era per i tedeschi, mentre gli italiani rispondevano meglio se i comportamenti corretti erano conditi dal gioco e dal divertimento.
Grazie alla mia esperienza in Mediaset come autore, ho iniziato a proporre – tramite agenzie pubblicitarie specializzate – campagne di sensibilizzazione basate su format mutuati proprio dall’entertainment televisivo, in cui plot e ambientazioni si integravano con gli argomenti definiti a monte dai board scientifici. I comportamenti giusti e quelli sbagliati non erano più veicolati “ipse dixit”, come nelle tipiche campagne di sensibilizzazione, ma emergono ora da fiction e reality in cui lo spettatore-paziente può riconoscersi, rivedersi nel quotidiano ed elaborare la propria strategia salvifica. Questo, coadiuvato dai consigli degli specialisti, veicolati tramite inserti e interviste ad hoc, diversificate nei contenuti se rivolte ai medici, agli stakeholder, ai pazienti o ai caregiver.
Sono nate e continuano a nascere così, una dopo l’altra, campagne educazionali con il contributo non condizionato di importanti case farmaceutiche per patologie anche gravi – come l’ipertensione e l’ipertiroidismo – o difficili da trattare, come le dermatiti atopiche e la prostatite, fruibili però da un pubblico ampio, come si può dedurre dal fatto che sono entrate nell’offerta home entertainment di Prime e Spotify. Noia, mancanza di empatia e mancanza di interazione con i protagonisti – i limiti dell’apprendimento tramite video – sono problemi del passato, superati dalla scrittura secondo i tempi e i criteri televisivi e dalla possibilità di rendere interattive le storie, lasciando allo spettatore la possibilità di modificare la situazione in relazione alle proprie risposte. Non sono più un fatto teorico le conseguenze di una propria azione o di un consiglio: le vedi!
È questa la mia nuova sfida: cambiare il mondo della formazione a distanza.
Probabilmente sarà un lavoro lungo, come è stato quello per affermare sul mercato il MEDICOM: le innovazioni in certi settori avvengono per gradi, ma sono convinto che nel mondo dei provider o delle stesse case farmaceutiche c’è già chi vuole dare una marcia in più alle proprie attività di formazione. I numeri sono dalla mia parte: in generale, le probabilità che qualcuno guardi un video piuttosto che leggere un documento sullo stesso argomento sono maggiori del 75%, con un ricordo di concetti e dettagli maggiore fino all’85% dopo soli sei mesi!